Di nuovo online dopo quasi un mese senza internet. Vabbè, la prendo con filosofia, come il maestro Pai Mei. Il blog è stato naturalmente trascurato, e lo aggiorno riportando un pezzo che ho trovato per caso studiando tutt'altro.
Il testo è un Buongiorno di Massimo Gramellini, che mette in ordine qualcosa che confusamente pensavo e penso quando vengono diffuse immagini di un particolare impatto (ultimo caso il video delle maestre di Pistoia).
Non adoro Gramellini, ma in questo articoletto è ordinato e diretto, e non aggiungo altro: la penso così.
MI dissocio dal convincimento diffuso che mostrare immagini di violenza sia giusto o addirittura necessario per accrescere la consapevolezza dei cittadini. Le foto delle torture e dell'ostaggio sgozzato contengono un inganno. Dicono a chi le guarda: siamo documenti autentici che ti permettono di formarti un'opinione sui fatti. Ma mentono, perche' a diffonderle nel tritacarne mediatico e' stato e sara' sempre un potere di parte, interessato a provocare certi effetti (le dimissioni di un ministro, la sollevazione di una massa). Quindi l'immagine non libera lo spettatore: lo usa.
Ma c'e' un'altra ragione ancora piu' importante che mi spinge a diffidarne. A differenza di un testo scritto, l'immagine di un orrore non stimola la riflessione, ma solo un'emozione momentanea e prevedibile, che si limita a ribadire cio' che sappiamo gia': in questo caso che le guerre di ogni epoca tendono a estrarre dall'uomo le pulsioni piu' estreme.
Ma nella civilta' dell'immagine esiste solo cio' che vedi, sfringuellano i guru della modernita' acritica per giustificare il loro voyeurismo. Gia': ma PER QUANTO esiste? L'immagine, anche la piu' sconvolgente, galleggia in superficie. E produce reazioni emotive che evaporano in fretta, lasciandoci dentro un ricordo confuso e una scia di sdegno che va a stratificarsi sulle precedenti per gonfiare il salvagente di cinismo con cui cerchiamo di proteggerci. Rendendo indispensabile aumentare la dose dello schifo, la prossima volta.
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